Transe e dépense, di Luciano Parinetto

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Nel 1609, Pierre de Lancre, consigliere del Re di Francia, viene inviato nel Labourd, regione basca al confine tra Spagna e Francia, per condurre una crociata contro le streghe.
Dalle descrizioni e dalle confessioni che ci ha lasciato quest’inquisitore, emerge la dimensione sociale e comunitaria dei riti sabbatici praticati in questi villaggi di pescatori. Sorta di fiere paesane, frequentate da migliaia di uomini e donne, questi culti del Sabba sono espressione di una comunità antichissima e della sua refrattarietà all’imposizione della proprietà privata e della logica produttivistica del capitalismo in ascesa.
L’incompatibilità di questi diavoli baschi con la modernità mercantile ne fa dei veri e propri indios interni, accomunati a quelle popolazioni di amerindi selvaggi che, proprio in quegli anni, conoscono l’apice di un genocidio condotto dai cristianissimi colonizzatori in nome della civiltà del denaro.
Non solo. In questa comunanza nell’alterità, e nella persecuzione, si intreccia un sotterraneo filo rosso di esperienze e percorsi, spirituali e di resistenza, a prima vista lontanissimi tra loro: dalle economie del dono di selvaggi ancora immersi nello stato di natura, alla morale evangelica autentica del non darsi pena del domani, dal comunismo profetico di Thomas Müntzer e dei contadini tedeschi in rivolta, al superamento estatico dei confini tra l’“io” e il “tu” vissuto da mistici e martiri di ogni fede.

L’eresia delle femmine ribelli. Donne delle foreste e delle montagne

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Non fu tanto la religione, quanto il razionalismo militante, che alla fine fece scomparire le fate e le altre creature silvestri. Se la Chiesa si era limitata a mettere in guardia contro spiriti che potevano essere pure di obbedienza satanica, il razionalismo ne negò l’esistenza, come negò quella del Diavolo e delle streghe. A scuola si imparò che erano tutte “superstizioni d’altri tempi”. La foresta, finalmente liberata dal suo incantesimo, poteva ormai essere sfruttata secondo la tecnologia moderna, che distruggeva l’ambiente. La solcarono strade; rettifili disboscati penetrarono fin nel più fitto degli alberi. Il “popolo degli alberi” perse l’unica risorsa di cui disponeva, il rifugio in cui ritirarsi al di fuori dell’influenza dei “civili” (che erano riusciti a occupare ogni angolo), in cui vagare a proprio piacimento come gli animali selvatici. E perse Dio. Streghe, eretiche, delinquenti: dove sono andate a finire le antiche femmine ribelli delle Alpi e delle foreste d’Europa? Bruciate dai roghi, naturalmente; fatte a pezzi sui patiboli, in mezzo alla gente di città, curiosa ed eccitata; ridicolizzate dagli intellettuali e dimenticate, soprattutto. Perché dopo l’Inquisizione, che pure fece tanti morti, il ricordo di loro rimase: e le creature mitiche continuarono, per secoli, a parlare attraverso le storie delle vecchie e a popolare le notti senza luna.

La transfobia e i suoi incroci con il razzismo

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“Senza sorprese, la transfobia e il razzismo sono ben presenti negli ambiti queer/froci/lesbici/LGB(T)/femministi francesi. Da due anni, riflettiamo per provare a capire come queste oppressioni sistemiche impattano sulle nostre vite, le nostre relazioni e la nostra salute mentale. Siamo stufi-e di doverci adattare tutto il tempo, e che i comportamenti oppressivi siano invisibilizzati da chi ci è intorno.
Per evitare di partire ogni volta da zero per quanto riguarda la pedagogia, e di essere usati-e come pozzi di scienza, abbiamo deciso di scrivere questo opuscolo. È rivolto alle persone cis, e alle persone trans bianche, che vogliono rendersi consapevoli dei propri privilegi, e anche alle persone trans o in questionamento che si sentono maltrattati-e nel giro militante, e che vorrebbero una risorsa per comprendere meglio i meccanismi che si producono.”

Spero sceglieremo l’amore

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Questa fanzine è la traduzione di una parte del libro “I hope we choose love. A trans girl’s notes from the end of the world” di Kai Cheng Thom. Il testo è un invito a riflettere sul tema del conflitto e della violenza all’interno delle comunità queer, con una visione critica e costruttiva rispetto alle strategie tipicamente adottate dalle comunità stesse. L’autrice propone riflessioni e pratiche che possono rappresentare un buon punto di partenza per affrontare tematiche che troppo spesso diventano un tabù. Il conflitto e la violenza intracomunitaria tra persone queer è spesso alla base di fratture profonde e irreparabili tra singole persone, reti politiche e affettive. Di fronte alla violenza sistemica e agli attacchi frontali che le comunità marginalizzate subiscono da parte del potere e della norma cis-etero-patriarcale, la risposta a cui tendiamo è quella di una costante e comprensibile postura di autodifesa, di creazione di una visione utopica e omogenea di comunità in cui siamo tuttx solidali, in accordo e complici, in cui nessunx di noi è portatorx di violenza. Una visione di questo tipo non consente di assumere il conflitto/la violenza che permea le nostre relazioni, le dinamiche disfunzionali e tossiche che riproduciamo. Ma soprattutto non consente alla comunità stessa di farsi carico delle proprie responsabilità di fronte al conflitto/la violenza, di nominare cosa andrebbe fatto per evitare che si produca e riproduca e di articolare un percorso di trasformazione e riparazione che investa la comunità nel suo intero

Desideri ambivalenti e sesso brutto

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“Mi sento di cominciare con una confessione: ho fatto del sesso brutto (ugly sex). No, non intendo sesso cattivo (bad sex), per quanto abbia fatto anche un sacco di sesso cattivo. Parlo del sesso che desideri, ma che trovi anche un po’ ripugnante. Sesso che ti fa venire, ma che ti lascia turbatx. Sesso confuso e ambivalente, e così diverso dallo “yes!”-sex, quel sesso entusiasmante e impoterante che lx femministx dovrebbero fare…”