Ermafroditx audaci. Tracciando la mappa dell’emergere dell’attivismo politico intersessuale

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L’insistenza su due sessi chiaramente distinti ha conseguenze disastrose per molti individui che arrivano al mondo con un’anatomia sessuale che non può essere facilmente identificata come maschile o femminile. Questi individui sono etichettati dal discorso medico moderno come “intersessuali” o “ermafroditx”. Circa una persona ogni cento nascite è portatrice di una qualche anomalia della differenziazione sessuale e circa una ogni duemila è abbastanza differente da rendere problematica la domanda “E’ un maschio o una femmina?”
Dall’inizio degli anni ‘60 del secolo scorso, quasi tutte le grandi città degli Stati Uniti hanno avuto un ospedale con un team permanente di medici esperti che intervengono in questi casi per assegnare – con drastici mezzi chirurgici – uno status di maschio o femmina agli/lle infanti intersex. Il fatto che questo sistema di mantenimento dei confini delle categorie ‘maschio’ e ‘femmina’ esista da così tanto tempo, senza che da alcun lato siano emerse critiche né attenzioni al riguardo, è un segnale dell’estremo disagio che l’ambiguità sessuale provoca nella nostra cultura. La chirurgia genitale infantile rende letterale quella che altrimenti sarebbe considerata un’operazione teoretica: il tentativo di produrre corpi normativamente sessuati e soggetti di genere attraverso atti costitutivi di violenza. Negli ultimi anni, tuttavia, le persone intersessuali hanno cominciato a politicizzare le identità intersex, trasformando così quelle che erano esperienze strettamente personali di violenza in un contrasto collettivo alla regolazione medica dei corpi, che rende queer le basi delle identificazioni e dei desideri eteronormativi.

Lo schieramento femminista nel campo di battaglia trans

Lo schieramento femminista nel campo di battaglia trans
e Transfobia come sintomo (di Patricia Elliot)

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Attraverso questi due articoli, la femminista accademica Patricia Elliot esplora le motivazioni recondite della transfobia espressa da una parte del movimento femminista lesbico radicale (corrente denominata anche “TERF”). Interrogando il “soggetto fobico”, Elliot ci mostra come le posizioni transfobiche delle TERF non poggino tanto su basi razionali quanto su un rifiuto di conoscere, che cela paure e fobie situate nell’inconscio: in particolare l’angoscia per la perdita dei netti confini che separano i sessi/generi, confini il cui pattugliamento è determinante per la costruzione identitaria del soggetto politico del femminismo lesbico radicale. Emergono qui in tutta chiarezza i limiti di una politica identitaria, in particolare laddove questa identità politica si fonda sulla differenza biologica, anzichè su una comunanza di modi di esperire l’oppressione sociale rispetto al genere. Si spiega così la narrazione fantasmatica elaborata dal movimento TERF rispetto alla donna trans, costruita come figura stereotipata e persecutrice, come minaccia onnipresente e pervasiva, causa di effetti nefasti sull’intera società. Un meccanismo di arroccamento identitario e di paura dell’altrx da sè che rispecchia gli schemi di altre ideologie razziste e discriminatorie.