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L’insistenza su due sessi chiaramente distinti ha conseguenze disastrose per molti individui che arrivano al mondo con un’anatomia sessuale che non può essere facilmente identificata come maschile o femminile. Questi individui sono etichettati dal discorso medico moderno come “intersessuali” o “ermafroditx”. Circa una persona ogni cento nascite è portatrice di una qualche anomalia della differenziazione sessuale e circa una ogni duemila è abbastanza differente da rendere problematica la domanda “E’ un maschio o una femmina?”
Dall’inizio degli anni ‘60 del secolo scorso, quasi tutte le grandi città degli Stati Uniti hanno avuto un ospedale con un team permanente di medici esperti che intervengono in questi casi per assegnare – con drastici mezzi chirurgici – uno status di maschio o femmina agli/lle infanti intersex. Il fatto che questo sistema di mantenimento dei confini delle categorie ‘maschio’ e ‘femmina’ esista da così tanto tempo, senza che da alcun lato siano emerse critiche né attenzioni al riguardo, è un segnale dell’estremo disagio che l’ambiguità sessuale provoca nella nostra cultura. La chirurgia genitale infantile rende letterale quella che altrimenti sarebbe considerata un’operazione teoretica: il tentativo di produrre corpi normativamente sessuati e soggetti di genere attraverso atti costitutivi di violenza. Negli ultimi anni, tuttavia, le persone intersessuali hanno cominciato a politicizzare le identità intersex, trasformando così quelle che erano esperienze strettamente personali di violenza in un contrasto collettivo alla regolazione medica dei corpi, che rende queer le basi delle identificazioni e dei desideri eteronormativi.